La rateta

Una topolina dalle campagne fertili di piogge si rifugiò per la tempesta in un caseggiato dal soffitto asciutto di fumo. Le imposte tarlate erano traversate da una canna fumaria che adombrava la parete delle suppellettili e le fette di focaccia ardenti sulla graticola. In un giorno di festa, annusando le briciole di fame, ritrovò nel vano della scala presso cui soleva acquietarsi a riposare, un soldo a farle da cuscino per i desideri di tutte le notti.
Quando, nell’assecondare il vanto del suo giovane manto, esaudì di rimediare un fiocco rosa que l’amor s’hi posa, gli animali giunsero d’ogni sentiero per corteggiarla: il cane abbaiò, l’asino ragliò, il gallo cantò per tre volte e, alla prima, batté le ali per risollevar la cresta sul ciglio del campanile. Ma ecco che la paura, melliflua e seduttrice, sgattaiolò tra tutti i pretendenti e, in un miagolio soltanto, le consentì di misurare il brivido dell’oca. Le compagne di tana la sollecitarono a non ingannare le sorti di natura, ma, in preda all’estasi, la topolina rivolse ai loro inviti indulgente sufficienza, perché lei mai sarebbe morta di paura. Si sposarono nel silenzio degli invitati, su un altare il cui legno fu graffiato dal passo per, direte voi, baciarla. Il gatto non smise di pulirsi le fauci dell’ultimo sangue allorché lo squittio si mutò in miagolio nell’ombra di ciò che di lei restava. Il fiocco rosa, que l’amor s’hi posa.
Maria conobbe Franco all’imbrunire del suo sedicesimo compleanno.

Il fiocco rosa

Si divertiva da morire a indossare i vestiti di sua madre e a imitarla. E quanto s’innervosiva lei. Era troppo bravo.  “Nuccio!” gridava “Smettila!” Ma non voleva saperne nulla. Quel rossetto, quegli orecchini di perla, non gli parevano fuori posto su quel viso. Non a lui. La madre così lo trascinava in bagno e con occhi spaventati, esterrefatti, di disgusto, chiudeva la porta alle sue spalle, perché nessun altro sguardo potesse essere come il suo. “Un bambino non gioca con le bambole, Nuccio. Un bambino gioca con i soldatini, con le macchine!” Pioveva quando la convinse ad accompagnarlo in una scuola di danza. Avrebbe saltato anche lui finalmente, fatto girare il suo corpo per ore e ore, sudato di fatica! D’estate costringeva zii e cugine ad assistere ai suoi spettacoli: applaudivano forte, con i visi che abbondavano di sorrisi, paonazzi di risate. Pioveva sulle sue guance, che bruciavano di carezze troppo forti. “E te l’avevo detto a mamma che a lui queste cose non piacciono, ma lo fa per il tuo bene!” Un padre pretende il meglio per il figlio e serviva che iniziasse a capire cosa fosse meglio per la sua crescita. Un giorno Nuccio entrò in camera da letto e, indossate una delle giacche d’ufficio, si avvicinò allo specchio per iniziare a urlare com’era abituato a vedergli fare, mimando con le dita il gesto della pistola, sparando tre volte dritto al suo riflesso. A scuola, mentre i compagnetti continuavano a prenderlo in giro, si bendò gli occhi per asciugare le lacrime con il fiocco del grembiule, rosa come quelle scarpette che non avrebbe mai dovuto volere sue. Lo strinse tra i denti per trattenere i singhiozzi quando le gettò insieme alle bambole tra i chicchi di riso avanzati durante il pranzo e le richiuse sotto il coperchio per poterle dimenticare. Poi, diventato blu, lo lasciò scivolare dalle labbra e aspettò che piano piano gli si stringesse addosso, come fosse un cappio al collo.  Nuccio di certo stava iniziando a capire. Rosa o blu? È una scelta che costa la vita.