Maria e Franco

La rateta

Una topolina dalle campagne fertili di piogge si rifugiò per la tempesta in un caseggiato dal soffitto asciutto di fumo. Le imposte tarlate erano traversate da una canna fumaria che adombrava la parete delle suppellettili e le fette di focaccia ardenti sulla graticola. In un giorno di festa, annusando le briciole di fame, ritrovò nel vano della scala presso cui soleva acquietarsi a riposare, un soldo a farle da cuscino per i desideri di tutte le notti. Quando, nell’assecondare il vanto del suo giovane manto, esaudì di rimediare un fiocco rosa que l’amor s’hi posa, gli animali giunsero d’ogni sentiero per corteggiarla: il cane abbaiò, l’asino ragliò, il gallo cantò per tre volte e, alla prima, batté le ali per risollevar la cresta sul ciglio del campanile. Ma ecco che la paura, melliflua e seduttrice, sgattaiolò tra tutti i pretendenti e, in un miagolio soltanto, le consentì di misurare il brivido dell’oca. Le compagne di tana la sollecitarono a non ingannare le sorti di natura, ma, in preda all’estasi, la topolina rivolse ai loro inviti indulgente sufficienza, perché lei mai sarebbe morta di paura. Si sposarono nel silenzio degli invitati, su un altare il cui legno fu graffiato dal passo per, direte voi, baciarla. Il gatto non smise di pulirsi le fauci dell’ultimo sangue allorché lo squittio si mutò in miagolio nell’ombra di ciò che di lei restava. Il fiocco rosa, que l’amor s’hi posa.
Maria conobbe Franco all’imbrunire del suo sedicesimo compleanno.