Buio presto

Sono giorni interi che piove e la burrasca ghiacciata rende le notti lunghe, prive di sonno. La luce sciatta dei neon della corsia passa fra le listarelle delle tendine alle finestre e l’odore dolciastro di medicinali si deposita sui vestiti, sulle sedie e nell’aria che Tobia respira nella sua stanza. Maledetto inverno e maledette notti in questo posto di merda, pensa mentre con il dito disegna nella condensa sul vetro. L’inverno fino a poco tempo prima passava fra chiacchiere e giochi di carte e il bicchiere di vin brulè della nonna di Giulia davanti. Bastava anche soltanto una bottiglia piena e la casa di qualche amico libera. Fuori dalla finestra il parcheggio si fa sempre più scuro e i fari delle ambulanze fendono la nebbia. Sara entra nella stanza puntuale come ogni giorno, saltella sui tacchi a spillo mentre si leva il cappotto e la sciarpa in tutta fretta.

“Tuo padre sta cercando parcheggio e a me scappa la pipì”

Sparisce ancor prima che il ragazzo possa realizzare l’apparizione della madre. Uscita dal bagno come suo solito distribuisce rapide occhiate tutt’intorno mentre l’inconfondibile espressione di disappunto le si dipinge sul viso. Con la testa fa cenno alla tenda sbiadita che divide in due la stanza:

“Uno nuovo ne hanno messo? Ma un po’ di tempo tranquilli non si può stare in questo posto?”.

Fa appena in tempo a finire la frase che la porta alle sue spalle si spalanca, entra il marito paonazzo in volto, si sventola con la mano mentre una goccia di sudore scintilla sulla tempia:

“Ma a quanto li tengono i riscaldamenti qua dentro?”.

Tobia guarda i suoi genitori e per la prima volta vede sua madre e suo padre come un uomo e una donna, un uomo e una donna che fanno affermazioni di circostanza e commentano il tempo e il freddo e il buio presto soltanto per riempire il silenzio, perché nella sua famiglia da sempre il silenzio spaventa.

“Voi sempre a lamentarvi?” ride e ridono.

“Ho portato le paste”

Mauro tira fuori un pacchetto marrone con un grosso fiocco dorato sopra, lo appoggia sul tavolo:

“spero non si siano rovinati durante il viaggio”.

Tobia si alza dalla poltrona, si avvicina al cabaret di dolci e sceglie senza pensarci il suo preferito che a guardare meglio costituisce la gran parte dei pasticcini in quel vassoio. L’odore dello zucchero a velo e della crema pasticciera lo riporta alle domeniche, la messa, poi il pranzo dalla nonna, la formula 1 di sottofondo mentre suo padre dorme sul divano e sua madre in cucina lava i piatti e parla del più e del meno. Addenta la sfoglia, una miriade di piccole briciole cadono a terra, il sapore di uovo della crema gli esplode in bocca, improvvisamente la nausea, corre in bagno, vomita una due, tre volte. Si alza ansimante, appoggiato al muro, li ascolta litigare e incolparsi a vicenda fuori dalla porta, le voci sovrapposte, ma strozzate per non farsi sentire. Quando ha deciso che può bastare tira lo sciacquone e fuori torna il silenzio, si bagna i polsi e la faccia ed esce dal bagno:

“Tutto bene amore?”

Sara lo scruta appoggiata allo stipite della porta.

Il ragazzo guarda sua madre negli occhi, vede il suo stesso viso, come se soltanto ora dopo anni si fosse reso conto di quanto siano simili. Se avesse raggiunto i cinquant’anni le sarebbe assomigliato molto, pensa, alto, dai modi distinti, un po’ curvo sulle spalle e con quelle sopracciglia folte che esasperano qualsiasi espressione.

“Ci puoi lasciare soli papà?”

Tobia guarda quell’uomo che non ha ancora capito dove collocarsi nella stanza e arranca alla ricerca del posto giusto nello spazio. La voce del ragazzo, un soffio appena percettibile, è cambiata, ora esile, infantile, femminea. Maurizio scuote la testa come per chiedere spiegazioni:

“Ho dei segreti con la mamma”

Dice Tobia e si sforza di sollevare gli angoli della bocca in un sorriso distorto per alleviare il disappunto del padre costretto per l’ennesima volta a non essere partecipe. Il ragazzo fa ricorso a un codice familiare, come quando era bambino e si ritirava con la madre “per i segreti” fuori dalla camera da letto dei genitori. Tobia guarda la mano di suo padre abbassare la maniglia della porta, non la spinge, come se ancora sperasse in un ripensamento del ragazzo. Aspettano in silenzio che l’uomo esca. Rimasti in due, la madre si siede sul letto, gli prende la mano e se la porta al viso facendo attenzione all’intreccio di tubi e aghi che entrano ed escono dalle braccia del figlio.

“Stringimi la mano”

dice Sara

“Stringimela forte”.